Dal 30 aprile “Ancona tra passato e futuro. Immagini di una città che cambia” Spazio Presente, Museo della Città

L’Amministrazione comunale, assessorato alla Cultura e Lions Club Ancona Host sono protagonisti di una operazione culturale inedita e ricca di fascino dedicata alla città, alla sua articolata storia, densa di trasformazioni, dall’Unità d’Italia ai giorni nostri.

Il frutto di questa collaborazione ha dato luogo alla mostra “Ancona tra passato e futuro” immagini di una città che cambia” che verrà aperta sabato 30 aprile alle ore 16-19 presso Spazio Presente, Museo della Città, luogo ideale per proporre ai visitatori un percorso che ricostruisce l’evoluzione della città di Ancona dal 1861 ad oggi attraverso il racconto degli effetti della pianificazione urbanistica sull’immagine complessiva della città.

L’iniziativa è stata presentata a Palazzo del Popolo.

“Le complesse vicende e le innumerevoli trasformazioni che hanno dato luogo all’Ancona contemporanea – sottolineano il sindaco e l’assessore alla Cultura Paolo Marasca sono per lo più parzialmente note alla maggior parte degli Anconetani. Guerre, terremoti, disastri di varia natura, che hanno mutato il volto della città nel tempo, ma tuttavia sono spesso presenti solo nell’immaginario della popolazione”.

Da questa considerazione è scaturita l’idea della mostra, curata da storici dell’arte e urbanisti profondamente legati alla città e già impegnanti nelle istituzioni. Destinata ai cittadini e alle giovani generazioni, essa ricompone, come in un album illustrato, la complessa trama dei cambiamenti, delle perdite, delle sostituzioni, intervenute a mutare il volto della nostra città.
La mostra resterà aperta fino a venerdì 10 giugno, con orario 16-19 da martedì a domenica.

“Da anni, il Lions Club Ancona Host sviluppa il tema della memoria urbanistica della città, e questo rende particolare merito al Club, profondamente innamorato della sua città. La mostra è un esito importante di tale percorso, perciò l’amministrazione la sostiene, e la ospita in una sede istituzionale – afferma il sindaco Valeria Mancinelli –. A ben vedere, questa esposizione ci permette di sentire meglio il Respir2o di Ancona. Un Respiro portentoso: vediamo donne e uomini attraversarla, viverla, e vediamo lei, Ancona, mai gelosa delle proprie bellezze, mai presuntuosa di fronte allo straniero, mai stanca di esplorare, sperimentare e per questo anche capace di resistere alle devastazioni del suo Novecento. È il Respiro di una comunità che, in grande maggioranza, non invidia quel che gli altri hanno, o sono, ma costruisce in rapporto con essi. E questa si chiama generosità. La generosità di Ancona emerge nella sua capacità di avere visione a lungo termine, e temperarla con il senso del presente. D’altronde, nasciamo specchiandoci nel mare, ne impariamo il riflesso, e la profondità”.

“L’evento che siamo riusciti a realizzare costituisce il punto di arrivo di un percorso alla riscoperta della nostra città e della sua storia urbanistica che ha subito, nel tempo, così tanti sconvolgimenti e cambiamenti da renderla irriconoscibile e da cancellare la memoria delle epoche passate – ha detto Patrizia Niccolaini Presidente Lyons 2021-2022 -. Sotto questo punto di vista il LYONS CLUB ANCONA HOST, dopo la serie degli ‘Angoli perduti di Ancona’ ha inteso fare, in collaborazio-ne con tutti coloro che da tempo lo supportano in quest’attività di ricerca e ricostruzione, un dono alla città ed alle generazioni pre-senti e future nello spirito di servizio che lo contraddistingue, con-segnando loro un ricordo ed una memoria che non debbono andare perduti.

Lo sguardo su Ancona passata, presente e futura è in gran parte inedito, dal momento che sono state privilegiate immagini poco o per niente note, attraverso un percorso che collega la città che è stata, quella che è e quella che sarà, con l’intento di continuare in futuro a raccontarne le trasformazioni e a riscoprirne e valorizzarne la storia”.

 

I CONTENUTI:

Gli archivi storici fotografici della città, formidabile strumento di documentazione, così come le cartoline illustrate, hanno fornito una ricchissima fonte di immagini, selezionate ed organizzate a fini espositivi.

Sviluppata negli spazi della nuova ‘ala’ del Museo della Città, denominata Spazio Presente, la mostra offre al visitatore una rassegna di oltre 100 foto storiche, suddivise in 5 sezioni, corrispondenti a 5 tessuti urbani omogenei (Archi-Piano San Lazzaro, Capodimonte-Guasco, Spina dei Corsi, Waterfront, Quartiere Adriatico). Una scelta che, nelle intenzioni di chi l’ha organizzata e pensata, intende soddisfare un contributo di chiarezza, fornire al visitatore un aiuto alla comprensione degli sviluppi e dei progressivi mutamenti della città.

A rendere più dinamico il percorso espositivo, contribuiscono, inoltre, alcune opere d’arte a tema urbano, realizzate tra ‘800 e ‘900, non solo come punto di vista artistico di un luogo ‘dov’era e com’era’ (il porto, piazza Roma, l’ascensore del Passetto), ma al tempo stesso elemento cromatico nella dominante tonalità ‘bianco e nero’ della mostra.
A completare l‘esposizione, sono presenti due video: il primo che contiene gli strumenti urbanistici (Piani Regolatori) che hanno programmato lo sviluppo della città dal 1861 agli anni ’90 del ‘900. Nel secondo sono illustrate le prospettive e le progettualità di una città che guarda al futuro.

 

Elenco dei Piani Regolatori della città di Ancona

1861 Piano Regolatore della città di Ancona

progetto: regia commissione composta dagli ing. Gabuzzi, Bianchi e De Bosis.

ing. Daretti ingegnere capo del Comune di Ancona

1883-1885 Piano Regolatore di Ampliamento

progetto: interno agli Uffici Tecnici Comunali

1914 Piano Regolatore di Ampliamento

progetto: interno agli Uffici Tecnici Comunali

ing. Federicioni ingegnere capo del Comune di Ancona

1933 Piano Regolatore di Ancona proposto dalla Federazione Nazionale Fascista della Proprietà Edilizia

progetto: ing. Civico, ing. arch. Rossi, avv. Borrelli De Andreis

1948 Piano di Ricostruzione

progetto: arch. Minnucci (capogruppo) ing. Podesti, ing. Salmoni, ing. Picconi, arch Carreras, arch. Forleo, arch Potetti

1954 Programma di Fabbricazione

progetto: arch. Minnucci (capogruppo) ing. Podesti, ing. Salmoni, ing. Picconi, arch. Carreras, arch. Forleo, arch Potetti

1958 Piano Regolatore Generale

progetto:arch. Astengo, Baccin, arch Coppa, Pallottini, Pontecorvo, ing Salmoni, arch. Salmoni, ing Tommasi

1973 Piano regolatore Generale

progetto: arch. Campos Venuti, arch. Ballardini, arch. Zani

1993 Piano Regolatore Generale

progetto:arch. Campos Venuti, arch. Ballardini, arch. Oliva, arch. Costa, arch. Zani,

ing. Lenzini

Ancona – tra la fine dell’ottocento e il novecento

Il Piano del 1861 si occupa principalmente dell’ampliamento della città oltre la cinta delle mura cinquecentesche nella parte pianeggiante compresa tra le due pendici collinari del Cardeto e di Santo Stefano. Il margine urbano rimasto pressoché intatto dall’edificazione delle fortificazioni viene spostato di circa 500m, il nuovo ampliamento si colloca in asse con l’accesso principale al porto lungo quello che diventerà il corso principale della città. l’impianto tipologico a scacchiera è quello tipico ottocentesco con strade ampie a maglia regolare e cortine edilizie continue in parte porticate, il fulcro del nuovo assetto urbano è costituito dalla grande piazza a pianta rettangolare, l’attuale piazza Cavour, che pensata come terminale del corso, costituirà la cerniera per i futuri ampliamenti novecenteschi. Il Piano del 1861 di fatto determina le direttrici di sviluppo per quello che sarà l’assetto della città fino al secondo dopoguerra.

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Il Piano del 1883 definisce una nuova fase dello sviluppo della città. Si struttura l’ampliamento intorno al nuovo corso Vittorio Emanuele e a piazza Cavour grazie alla collocazione di alcuni importanti edifici pubblici: il Palazzo delle Ferrovie (1895) e la caserma Villarey (1865) sotto il colle del Cardeto. Viene allargata la cinta daziaria fino a comprendere tutta la parte sviluppatasi a sud oltre Porta Pia che comprendeva il rione degli Archi, Piano San Lazzaro e il tessuto residenziale popolare, fuori dalle mura, lungo Corso Carlo Alberto fino alla stazione ferroviaria.

Il 15 gennaio 1885 viene emanata la Legge n. 2892, detta “Legge di Napoli” in quanto formulata per far fronte alla situazione di emergenza venutasi a creare dopo lo scoppio dell’epidemia di colera nell’anno precedente. Legge fondamentale per procede a far fronte alle numerose epidemie di colera, (1865 – 1867) in quanto consentiva la demolizione e la ricostruzione di parti di città considerate insalubri con la procedura del pubblico esproprio. Nel 1886 viene presentato il “Piano di risanamento della zona dell’Astagno” che prevedeva opere di urbanizzazione lungo le pendici dell’Astagno e il diradamento dei tessuti edilizi del centro storico.

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Il Piano del 1914 venne attuato lentamente a causa del sopraggiungere del primo conflitto mondiale, tuttavia la città dal punto di vista urbanistico era ormai strutturata lungo l’asse che dal porto arrivava fino alla costa est. Lungo questo asse vennero realizzati i più significativi interventi pubblici: a partire dal porto, l’ampliamento degli Uffici della Banca d’Italia (1920), la sistemazione della piazza del Teatro, la sistemazione di Piazza Cavour, l’edificio delle Poste e dei Telegrafi (1921), il Monumento ai Caduti in fondo al Viale della Vittoria, tutti dell’arch. Guido Cirilli. Nel 1930-1932 viene presentato il progetto di risanamento della zona Astagno con la demolizione del vecchi ghetto e la realizzazione di Corso Stamira parallelo a Corso Vittorio Emanuele. Sempre negli stessi anni vengono realizzati il palazzo Littorio ad opera di Amos Gentiloni Lucchetti, attuale Municipio.

Nell’ambito del processo di attuazione del Piano, diventano rilevanti le conseguenze del sisma che colpì Ancona nel 1930 provocando i danni maggiori nella zona del centro storico e di Corso Carlo Alberto. La legge speciale destinò ingenti finanziamenti per la ricostruzione, gestiti dall’allora Istituto Case Popolari di Roma che progettò una serie di piccoli quartieri situati nelle zone periferiche della città (le case asismiche).

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Nel Piano della Federazione Nazionale Fascista della Proprietà Edilizia del 1933 l’idea di città era incentrata su quella di una rigida architettura sociale: una città che assegna al sistema dei servizi pubblici il compito della rappresentazione e al tessuto residenziale il compito del controllo sociale da attuarsi attraverso la creazione di una città signorile e di una città popolare. Entrambe sono realizzate, seppur in maniera differenziata, con decoro ovvero con il controllo formale e le tipologie scaturite dai regolamenti edilizi dell’epoca e attraverso la parziale demolizione di un centro storico denso e malsano non ancora monumentalizzato.

Pur rappresentando la città in maniera moderna attraverso elementi sistemici: la residenza, il verde, gli edifici e i servizi pubblici, la viabilità, per alcuni nodi è fornita una progettazione di dettaglio mentre le aree di espansione vengono definite esclusivamente dalla viabilità di progetto con una tecnica che sembra anticipare in tutto il modello della zonizzazione monofunzionale tipica degli anni successivi.

 

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dal dopoguerra ad oggi

Il Piano di ricostruzione del 1945 è un Piano particolare innanzitutto perché nasce come risposta alle distruzioni belliche del secondo conflitto mondiale, in secondo luogo perché rappresenta il primo Piano dopo il varo della legge urbanistica del 1942. Nel Piano di ricostruzione la città che viene rappresentata è organicamente scomposta in elementi primari: abitazioni, servizi, viabilità, infrastrutture, porto, ferrovia, e vi sono indicate con notevole lucidità una serie di inerzie territoriali tuttora insolute: l’endemico problema di un efficace collegamento con il territorio che avviene esclusivamente attraverso la litoranea, l’incongrua posizione della ferrovia che configge con lo sviluppo della città sia lungo la costa che all’interno del tessuto consolidato, il problema degli insufficienti spazi di movimento per l’infrastrutturazione portuale, la presenza delle aree militari che costituiscono dei vuoti di Pianificazione all’interno di punti nevralgici della città.

Accanto a queste inerzie l’enorme problema contingente costituito dalla ricostruzione del patrimonio edilizio danneggiato per oltre il 50% dal secondo conflitto mondiale. L’obiettivo primario è chiaramente quello della ricostruzione che però è anche visto come una occasione irripetibile di razionalizzazione di spazi all’interno della struttura della città storica, di delocalizzazione ante litteram di funzioni produttive e amministrative incongrue, di riscoperta di un sistema di monumenti finora soffocati nel tessuto edilizio.

  

Il Piano quindi pur mettendo sul tappeto tutta una serie di questioni, programmaticamente indirizza tutte le proprie risorse nella ricostruzione del patrimonio edilizio, e nei servizi pubblici di primissima necessità come le scuole, a questo si aggiunge l’ulteriore previsione residenziale lungo le direttrici individuate dal precedente Piano, a dimostrazione di come la città fosse ancora identificata quasi esclusivamente con la residenza.

Il Piano tuttavia ha due previsioni che poi si riveleranno fondamentali per la determinazione del futuro assetto urbano: individua la nuova area industriale nella zona della Baraccola a sud e prevede il primo rinterro del porto nella zona ad ovest del Lazzaretto, già indicata dal Piano del 1933.

Alcuni elementi significativi del Piano del 1945.

La ricostruzione avviene in nome della legalità, dopo che la guerra e le vicende ad essa collegate avevano portato al collasso la struttura fisica e sociale della città, il Piano di ricostruzione si configura soprattutto come il Piano delle regole ritrovate, che da una parte garantiscono equità di diritti ai cittadini e dall’altra sviluppo razionale della città

L’identità della città deriva dalla sua struttura, ovvero una forma urbana razionale e percepibile è capace di dare rappresentatività alla città. Tutto ciò che è apparentemente senza forma o peggio mescolato non omogeneo attiene a categorie di giudizio negativo: il tessuto storico casuale e privo di emergenze monumentali, le destinazioni d’uso miste, l’industria all’interno dell’ambito urbano, la compresenza di tipologie edilizie diverse sono tutti elementi di disturbo della razionalità urbana

Il Piano di ricostruzione mette in campo alcuni dei temi cruciali per la città e per il suo assetto generale: la viabilità primaria di accesso, la posizione della ferrovia e della stazione, l’ubicazione del porto peschereccio, la dislocazione dei grandi edifici pubblici, la presenza delle aree militari, prospettando soluzioni radicali per risolvere problemi già allora evidenti e che in futuro sarebbero esplosi, ma non ha la forza propulsiva di farli diventare parte del proprio programma, in quanto da soli assorbirebbero la quasi totalità delle risorse finanziarie in campo, che invece sono dirottate esclusivamente sulle necessità più impellenti: abitazioni e scuole.

Uno dei risultati di questo Piano è quello della ricostruzione del centro consolidato della città, l’aspetto interessante è quello legato alla sostituzione edilizia: un tema di complessa attuazione non solo all’interno della città storica, ma anche in tessuti più recenti di minore valore. Nel caso di Ancona i bombardamenti hanno di fatto determinato occasioni di sostituzione edilizia altrimenti impensabili, e che oggi restituiscono un tessuto molto particolare con inserti di diversità tipologica e dimensionale progettati all’epoca per essere il più possibile omogenei.

Sulla scia del Piano di ricostruzione viene redatto nel 1954 dagli stessi progettisti il programma di fabbricazione che di fatto ne riconferma l’assetto ispessendo il bordo urbano con una fascia di consistente espansione.

Il Piano di Astengo del 1958 ha innanzitutto il merito di aver intrapreso il processo di provincializzazione della città mettendola in relazione con il territorio circostante, proponendo un modello di sviluppo che non si esaurisce all’interno dei limiti amministrativi comunali ma si confronta con quelli di una regione che appare piuttosto arretrata rispetto a quelle del nord Italia.

L’Ancona degli anni 50 è una città con una scarsa identità al centro di un sistema territoriale depresso, il Piano quindi punta su un vero e proprio programma di grandeur basato sulla convinzione che lo sviluppo urbanistico coincida con quello economico sociale e culturale, viene incentivato lo sviluppo residenziale con un dimensionamento di 150 mila abitanti quando la città non ne supererà mai i 100 mila, quello culturale tramite la creazione di un polo universitario, quello turistico con la geniale intuizione di rivolgersi a sud piuttosto che a quella tradizionale di Palombina a nord.

Il Piano inoltre codifica la struttura urbana della città ormai saldamente divisa in due parti affidando ruoli precisi: amministrativi e rappresentativi al centro storico e alla prima espansione novecentesca lungo Corso Garibaldi, commerciali a quelli della prima cintura periferica che gravita intorno a Piazza Ugo Bassi in questo modo alla topografia sociale ormai consolidata si sovrappone un disegno urbano di più ampio respiro. Parallelamente lo sviluppo residenziale pure considerevole avviene riconfermando le linee di sviluppo del Piano di ricostruzione, non vengono previsti quartieri satelliti ad eccezione di quello di Collemarino e di Torrette lungo la direttrice nord a confine con il Comune di Falconara. L’attenzione alla valorizzazione del patrimonio ambientale e paesaggistico del territorio è affrontato con una modernità notevole per quegli anni: da una parte viene impostato il sistema dei grandi parchi urbani che comprende: la Fortezza Cittadella, il parco del Pincio, il Passetto, il Cardeto posti lungo il bordo estremo della città sopra la falesia, dall’altra il rinterro della zona del porto previsto dal Piano di ricostruzione e in corso di realizzazione in quegli anni è giudicato in maniera negativa in quanto compromette il rapporto della città con il mare ed è destinato ad ospitare attività inquinanti incompatibili con le zone residenziali circostanti.

Alla fine degli anni 50 avviene un avvenimento fondamentale per l’assetto del territorio: la costruzione della A14 il cui tracciato corre parallelo alla costa fino a Falconara e poi devia per aggirare il Conero e la città di Ancona, le due uscite quelle di Ancona Nord nel comune di Chiaravalle e quella di Ancona sud confinante ai comuni di Osimo e Camerano costituiranno in futuro punti nevralgici per lo sviluppo territoriale, il Piano interviene nel dibattito sul tracciato con l’ANAS proponendone uno alternativo che non viene accettato e predisponendo i collegamenti fra i due caselli e la viabilità comunale.

Il Piano di Astengo aldilà delle singole previsioni da una parte contribuisce ad alzare il livello di coscienza sul territorio e sulle sue potenzialità, dall’altra contribuisce a rompere il tradizionale isolamento di una città che per svolgere il proprio ruolo istituzionale deve diventare un fondamentale punto di riferimento dell’intera Regione.

Alcuni elementi significativi del Piano del 1958.

Il Piano Astengo si preoccupa di inserire la città di Ancona all’interno di un sistema più vasto, la Pianificazione comunale e le relative previsioni escono dall’angusto limite amministrativo per tenere conto di relazioni a scala territoriale. La città di Ancona tenta quindi a rompere l’isolamento che da sempre l’aveva caratterizzata per assumersi un ruolo di autentico centro propulsore dello sviluppo economico, culturale, sociale della regione. Si tratta di un’autentica rivoluzione nella consapevolezza ormai consolidata che la città aveva di sé e del problematico, e per tanti secoli inesistente, rapporto con il proprio entroterra. La città di Ancona è dichiaratamente pensata per essere un capoluogo; all’interno di un sistema che accentra funzioni, strutture, e servizi a carattere sovracomunale.

La città viene irrobustita in senso dimensionale e infrastrutturale, il Piano prevede un forte sviluppo quantitativo che dovrebbe costituire il volano per lo sviluppo di tutta un’area che alla fine degli anni ‘50 si presentava arretrata rispetto alle regioni industrializzate del nord Italia.

Il Piano quindi non è solo lo strumento che regola la trasformazione della città, ma costituisce esso stesso uno strumento di vero e proprio sviluppo, in quanto capace di mettere in moto meccanismi, occasioni, possibilità che saranno eventualmente concretizzati su basi congiunturali. La logica è ancora di tipo squisitamente quantitativo ma la dimensione e soprattutto i tempi delle trasformazioni appaiono ancora controllabili.

Nella illustrazione del Piano tutti gli elementi sembrano essere subordinati ad una logica economica, questo connubio fra sapere economico e sapere urbanistico costituisce il telaio sul quale vengono sistemate tutte le singole previsioni. Il Piano sembra avvertire ad ogni passo che la città deve continuamente stilare i bilanci delle proprie trasformazioni ma lo fa in uno scenario di piena fiducia nel futuro. Non viene mai posto il problema delle risorse concrete, eccetto che per alcune previsioni di tipo infrastrutturale, il risalto dato alle previsioni delle attività produttive è di gran lunga maggiore rispetto a quello riguardante la residenza.

Per la prima volta e con grande lucidità il Piano aggancia il reale sviluppo della città ad uno sviluppo culturale della comunità e lo fa con lo spirito positivista che lo anima, ovvero dotando la città di quei servizi culturali come musei, biblioteche, centri espositivi, che dovrebbero contribuire a formarne l’identità culturale. In questa strategia un ruolo fondamentale è svolto dall’Università che da sempre è il punto di produzione culturale per eccellenza; una città che aspira a diventare il centro di riferimento di un territorio non può non essere sede di una Università, Ancona da questo punto non solo non è storicamente sede universitaria ma non ha neppure elaborato un proprio modello di identità culturale e quindi territoriale se non per la presenza del porto storico.

Un altro risultato del Piano è quello della costruzione della identità turistica della città, Ancona non è una tradizionale meta turistica, tuttavia il Piano prende coscienza di una serie di potenzialità inespresse che devono prima essere individuate e quindi opportunamente valorizzate. Con una modernità decisamente sorprendente per i tempi, il Piano non solo scopre i luoghi all’interno della città e del territorio ma li mette a sistema attraverso un percorso fisico che sembra preconizzare le reti degli attuali Piani.

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Il Piano di Campos Venuti del 1973 sistematizza formalmente la città e trova il significato delle proprie previsioni urbanistiche attraverso un inequivocabile assetto morfologico del territorio. Anche i Piani precedenti erano cresciuti per addizioni logiche lungo direttrici consolidate tuttavia nessuno era riuscito a sintetizzare una sorta di logo territoriale. La tendenza allo sviluppo verso sud era già anticipata all’interno del Piano di ricostruzione che aveva localizzato il primo nucleo della zona industriale alla Baraccola, negli anni successivi la crescita della città e l’apertura del casello autostradale di Ancona sud avevano di fatto tracciato una direttrice inequivocabile. Il nuovo Piano si struttura quindi lungo quello che viene definito l’asse nord sud. Un asse che è contemporaneamente asse infrastrutturale, in quanto al suo interno vi scorrono due sistemi di viabilità paralleli, l’asse attrezzato che collega il casello di Ancona sud al porto e l’asse nord sud che collega la città consolidata con i nuovi insediamenti residenziali, asse produttivo che partendo dal porto arriva alla zona industriale e al porto interno ubicati alla Baraccola, asse di sviluppo residenziale in quanto fra la città consolidata e la zona industriale vengono previsti i tre nuovi quartieri di espansione della città. A questo asse che rispetto al territorio comunale si trova in posizione baricentrica si affiancano i sistemi territoriali del parco comprensoriale e relative frazioni a est e quello del parco regionale del Conero e relative frazioni a ovest.

La chiarezza morfologica dell’impianto viene riportata anche all’interno del tessuto consolidato vengono infatti definite: la prima Ancona corrispondente al centro storico e al quartiere adriatico, la Seconda Ancona che identifica la prima periferia sorta intorno alla Stazione e a Piazza Ugo Bassi e la Terza Ancona corrispondente ai nuovi quartieri residenziali fra la città e la Baraccola. Da questo momento in poi la città è come formata da pezzi riconoscibili di un puzzle che hanno il vantaggio di essere assolutamente chiari e comunicabili nelle loro dinamiche di sviluppo e nei reciproci rapporti.

Ma il Piano del 1973 è un fotogramma fondamentale nel processo di Pianificazione in quanto nel 1972 la città viene colpita dal terremoto che lesiona gran parte degli edifici del centro storico, l’evento calamitoso non influenza l’assetto generale, ma ha come risultato quello di sdoppiare in maniera ancora più netta i destini del centro storico da quelli del resto della città, non tanto nelle previsioni urbanistiche o nel sistema delle relazioni, quanto nei meccanismi e nei tempi di attuazione. Il centro storico oggetto di finanziamenti speciali viene gestito con uno speciale programma attuativo previsto dalla legge per il terremoto, che fornisce l’occasione unica per un effettivo programma di riqualificazione non solo degli immobili privati danneggiati, ma anche del sistema degli spazi pubblici. L’attuale assetto edilizio del centro storico e dei relativi spazi di relazione è il frutto di due processi di sostituzione forzata o meglio di sottrazione: i bombardamenti del 43 e il terremoto del 72

Alcuni elementi significativi del Piano del 1973.

Il Piano del 1973 è caratterizzato dal rispetto degli standard, viene applicato per la prima volta il D.M. 1444/68 e la città consolidata viene analizzata per verificare se risponde ai livelli minimi di dotazione di servizi pubblici. Naturalmente il tessuto del dopoguerra cresciuto con logiche di sfruttamento massimo degli indici e delle superfici dei lotti non supera quasi mai la prova dello standard. Il Piano quindi da una parte inserisce nuove aree di espansione questa volta abbondantemente sopra soglia e dall’altra prevede consistenti aree di verde a carattere urbano che gli permette di assorbire il deficit pregresso. E la nascita di fatto di una nuova tecnica di Pianificazione urbanistica destinata ad influenzare il modo di concepire servizi e attrezzature pubbliche e quindi in ultima analisi l’assetto della città

Il Piano dà alla morfologia urbana il compito di rappresentare se stesso, ovvero la città si rinnova attraverso una forma urbana logicamente rappresentabile. Il connubio tra forma e significato era presente in maniera più o mento evidente in tutti i Piani precedenti nascosto nelle pieghe dei concetti di decoro o di razionalità, è tuttavia questo Piano che di fatto, interpretando l’assetto morfologico esistente, assegna alla città la forma attuale che diventa per Ancona una sorta di logo.

La forza del logo tuttavia non è dovuta al suo aspetto, ma al fatto che il Piano è stato capace di sostanziarlo con una successione logica di funzioni legate da un telaio infrastrutturale convincente.

Il Piano di chiaro stampo riformista ha fra i suoi obiettivi quello di promuovere una politica della residenza più equa cercando quindi di rompere, la struttura codificata della rendita fondiaria ad Ancona fondata sulla divisione fra la città signorile della Prima Ancona e quella operaia della Seconda Ancona. Gli interventi di edilizia residenziale pubblica costituiscono un elemento centrale del Piano al pari delle altre opere pubbliche. Attraverso la quantità e l’ubicazione si tenta, da una parte di introdurre quote di residenza a prezzi controllati e dall’altra di favorire una sorta di ricambio nella topografia sociale all’interno della città con i quartieri PEEP, che vengono inglobati all’interno del tessuto residenziale.

A differenza dei suoi predecessori il Piano assegna al porto un ruolo di protagonista dell’assetto urbano, in quanto è considerato come l’attività economica principale di Ancona. Anzi l’attività produttiva diventa uno degli elementi base della morfologia urbana in quanto in corrispondenza del porto esterno situato sul mare viene creato alla Baraccola il porto interno con funzioni di smistamento e deposito delle merci. In questo modo viene ricreata quella forte identità tra sistema urbano e sistema produttivo, tra città e porto che aveva storicamente caratterizzato Ancona, il collegamento fra le due parti è fisicamente sancito dal progetto dell’Asse Attrezzato. L’incertezza sulla questione infrastrutturale ha impedito finora la realizzazione di questi assi stradali, decisivi per la vita del porto e di tutta la città.

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L’Ancona della seconda metà degli anni 80 e dei primi anni 90 vede la nascita del Piano regolatore vigente, datato 1993 e firmato da Campos Venuti e altri, non aggiunge molto all’assetto morfologico del Piano precedente se non per alcuni completamenti che di fatto non modificano il logo territoriale. L’idea fondamentale del Piano è quella di segnare il passaggio dall’espansione urbana alla riqualificazione urbana, ovvero da previsioni di quote significative di occupazione di nuovo suolo a previsioni molto più contenute, spostando quindi il centro di interesse a quelle parti di città consolidata che per diverse ragioni hanno perso i propri caratteri originari e le proprie funzioni e sono quindi suscettibili alla trasformazione. Il Piano introduce degli appositi ambiti chiamati APC ovvero Aree Progetto Costruite che si differenziano dalle APL che sono appunto aree libere, l’introduzione di ambiti di intervento differenziati non rappresenta solo un meccanismo urbanistico ma individua con esattezza all’interno della città gli ambiti della trasformazione, che segnano una mappa di sviluppo assolutamente diversa rispetto a quella dei Piani precedenti. Non si tratta più di confermare o meno una direttrice o un limite urbano, ora gli ambiti della trasformazione sono localizzati in modo apparentemente più casuale ma di fatto addensato nelle prime cinture periferiche: nel caso di Ancona all’interno della cosiddetta Seconda Ancona che diventa la parte privilegiata del processo di riqualificazione urbana, a cui si deve aggiungere il sistema formato dai cosiddetti contenitori urbani, ovvero edifici specialistici diffusi in tutto il territorio comunale adatti ad essere trasformati per accogliere specialmente funzioni di servizio pubblico. Parallelamente al processo di trasformazione della città dall’interno si assiste al processo di estensione delle tutele ambientali e paesaggistiche dall’esterno: l’istituzione del Parco Regionale del Conero che con i suoi 32kmq copre circa un quarto del territorio comunale è avvenuto nel 1987, nel 1992 entra in vigore il PPAR Piano Paesaggistico Ambientale della Regione Marche, il territorio agricolo inizia ad essere non più un soggetto indifferente, ma presenta al suo interno tutta una modulazione di valori e di livelli di tutela che di fatto lo rendono in molti casi patrimonio indisponibile. Anzi è proprio una nascente sensibilità ecologica a considerare un valore da difendere il frastagliato limite fra città e campagna, fra suolo urbanizzabile e suolo agricolo in quanto aumenta la superficie di scambio e

Alcuni elementi significativi del Piano del 1993.

Più che il sistema della viabilità in generale è la questione specifica dell’accesso alla città che coagula la maggior parte delle attenzioni del progetto del sistema infrastrutturale. Per la prima volta all’accesso da nord lungo la costa, che la frana dell’82 aveva messo definitivamente in crisi, viene fornita una valida alternativa che è quella dell’accesso da sud. Questa scelta tuttavia non è indolore in quanto implica il capovolgimento del sistema infrastrutturale che storicamente si era consolidato a nord con la conseguente costruzione di ingenti opere stradali di forte impatto nei confronti del tessuto consolidato e attrattori dei principali canali di finanziamento.

All’interno del processo di trasformazione urbana si verificano eventi estranei alla Pianificazione che hanno spesso delle conseguenze dirompenti, nel caso di Ancona si tratta di due calamità verificatesi a poca distanza di tempo: il terremoto del 1972 e la frana nella zona di Posatora nel 1982. Sebbene diversi per entità e per impatto hanno profondamente inciso sulla struttura fisica della città, innescando dei meccanismi che il Piano non ha potuto che metabolizzare in quanto più necessari e rapidi. In una prima fase le calamità hanno assorbito totalmente le energie del territorio, che ha dovuto tamponare le situazioni di emergenza, successivamente in virtù dei finanziamenti statali si sono formati degli ambiti specifici di gestione sperimentale, localizzati essenzialmente nel centro storico della città, la cui attuazione è proceduta parallelamente al Piano.

Sebbene ancora in nuce, nascoste sotto forma di adattamento al PPAR regionale, il Piano inizia ad introdurre le prime tematiche ambientali, che ancora non si sono esplicitate nei termini contemporanei di tutela della biodiversità, di bilancio ecosistemico, di sviluppo sostenibile. Si tratta in questa fase iniziale di una diversa attenzione al territorio visto anche nelle sue componenti agricole, della costruzione di un sistema di tutela che coinvolge il paesaggio, la cui definizione disciplinare avverrà più tardi verso la fine degli anni ‘90.

Le tecniche di rigenerazione del suolo non sono ancora così diffuse all’interno dei PRG, ma il Piano introduce il concetto di permeabilità del suolo come valore da tutelare all’interno della città consolidata e da incrementare all’interno di quella di espansione.

Un elemento fondamentale per determinare le scelte del nuovo Piano è la verifica dell’attuazione di quello vigente, in una ottica processuale dove il palinsesto della Pianificazione inizia ad essere consistente, ogni nuovo Piano è sempre più debitore e sempre più espressione dei suoi predecessori. In questo modo ogni nuovo Piano si muove, molto più che in passato, nell’alveo del Piano precedente andando ad intervenire nei punti o nelle parti dove questo non si è attuato o si è rivelato inefficace. Ai nuovi Piani è richiesto spesso di sanare o intervenire per punti, ecco quindi che la conoscenza il più possibile aggiornata del livello di attuazione e dei relativi meccanismi diventa un elemento determinante ai fini della costruzione del sistema delle condizioni del Piano.

Inizia ad incrinarsi la fiducia nell’equazione fra la dotazione quantitativa di standard urbanistici e qualità urbana, che era stato invece uno dei risultati più significativi del Piano del 73, sulla scia della pubblicazione del D.M 1444 del 68. Il problema tuttavia è solo accennato ma non affrontato lasciando ancora alla dotazione di standard procapite il compito di determinare la qualità urbana. Un altro elemento capace di aumentare la qualità che nel Piano è solo accennato e non approfondito è quello al ricorso del progetto urbano, specialmente riferito al sistema dei contenitori storici all’interno della città. Il Piano del 93 si connota sempre di più come un vero e proprio Piano di transizione dove i temi che verranno fuori con maggiore evidenza nel corso di tutti gli anni 90 vengono già accennati

 

COMITATO ORGANIZZATORE:

Patrizia Niccolaini, Presidente Lions Club Ancona Host 2021-2022

Paolo Marasca, Assessore alla Cultura Comune di Ancona

Stefania Annini, Lions Club Ancona

COMITATO SCIENTIFICO:

Costanza Costanzi

Diego Masala

Sauro Moglie

Paola Pacchiarotti

Sergio Sparapani

NOTE INTRODUTTIVE DEL CATALOGO:

Antonio Luccarini

Sauro Moglie

ALLESTIMENTO:

Carla Lucarelli, SH Architetti

COMUNICAZIONE E PROGETTO GRAFICO:

Carlo Mancini, Adv Creativi

STAMPA FOTOGRAFICA:

Nonsolostampa s.r.l.

ASSICURAZIONE:

U&B Intermediari di Ass.ne di U. Baldoni e B. Marchetti

UFFICIO STAMPA:

Comune di Ancona

CREDITI FOTOGRAFICI:

Archivio fotografico storico del Comune di Ancona

Archivio fotografico Emilio Corsini

Collezione Aldo Masala

PRESTATORI:

Pinacoteca Civica “F. Podesti” di Ancona

Collezione privata Antonia Giuliodori

Collezione privata Aldo Masala

Con la collaborazione di:

Gianfranco Belemmi, Storica Ancona

Ringraziamenti:

Massimo Di Matteo

Antonia Giuliodori