Cinque incontri con l’Associazione Multietnica Antirazzista per la Giornata contro la violenza sulla donne.

Voce pacata, tono fermo, sorriso coraggioso: Nidaa Badwan si racconta al pubblico di Ancona in occasione di uno dei cinque incontri organizzati a partire dal 18 novembre dall’ AMAD, Associazione Multietnica Antirazzista Donne, e dal Comune di Ancona, assessorato pari Opportunità e Politiche sociali, in occasione della Giornata internazionale contro la  violenza sulle donne.

Una rassegna articolata e di grande interesse, ospitata nel centralissimo “Spazio Presente” (Museo della Città), che quest’anno ha messo specificamente in luce la condizione femminile nei territori in guerra che stanno vivendo momenti drammatici di lotta contro i regimi totalitari. Regimi che, neanche a dirlo, sembrano ancora una volta accanirsi particolarmente contro le donne, come mai avremmo potuto pensare potesse più succedere.

Oltre undici anni di guerra in Siria, l’interminabile conflitto in Iraq, la resistenza dell’ Ucraina all’aggressione russa, le violente repressioni in Iran alle contestazioni delle donne iniziate dopo la soppressione di un ragazza che non indossava appropriatamente il velo, le violenze subite dalle donne della resistenza curda e della striscia di Gaza, dalle profughe di guerra, dalle vittime di stupri, di matrimoni forzati e da quelli con terroristi, dalla spose bambine, vendute dai genitori per ragioni di sussistenza….. l’elenco è lungo e straziante.

Non cercano commiserazione, le vittime di questi territori, cercano salvezza per sé, per i propri figli e i propri cari, e chiedono soprattutto di potere essere libere, libere di scegliere come vivere, di portare il velo o no (e certamente non una copertura totale e total black), di uscire, di studiare, di lavorare, di camminare e fare attività sportiva, di godere della cultura e dell’arte e di potere esprimere i propri talenti, artistici o di qualsiasi genere, di sposarsi o non sposarsi: insomma di godere di tutti quei diritti umani che non dovrebbero essere messi in discussione.

E invece, oggi più che mai, in quei territori dove i già pesanti conflitti interni sono stati intercettati da potenze straniere che si sono inserite a gamba tesa, mettendo in campo armi micidiali e creando divisione e distruzione, la bandiera da sventolare è sempre quella della religione islamica, che – spiega la giornalista e scrittrice italo-siriana Asmae Dachan, esperta conoscitrice dei conflitti mediorientali- è un potete strumento di condizionamento delle masse e in particolare delle donne, represse e in molto casi annientate con violenza indicibile.

– INTERVENTO EMMA CAPOGROSSI

– INTERVISTA ASMAE DACHAN

Tra i momenti più intensi della rassegna, quello – si diceva- del dell’incontro in video collegamento con la giovane artista palestinese Nidaa Badwan, autrice di “100 giorni di solitudine” una collezione di scatti fotografici che sembrano quadri, realizzati nel lungo periodo di reclusione domiciliare (20 mesi) che la ragazza si è autoinflitta dopo avere subito violenze traumatiche in carcere. Nidaa – lo ha raccontato al pubblico impietrito- era stata arrestata semplicemente perché trovata per strada a parlare con giovani artisti e senza velo sul capo. La sofferenza e la paura patite in prigione, tra insulti, minacce, e abusi ripetuti, trapelano solo dagli occhi che a un tratto si fanno lucidi, anche quando ricorda le prime settimane trascorse in casa, in uno stato di comprensibile prostrazione. La voglia di vivere per fortuna prende il sopravvento e la giovane si affida alla macchina fotografica, si inoltrandosi in un lungo percorso di ricerca di luci, colori e stati d’animo, di rivisitazione di arredi e oggetti che si fanno simbolo, di suggestioni e di emozioni da ricreare nel piccolissimo spazio in cui ogni giorno deve sopravvivere, lontana da tutto e da tutti. Da questo lungo e non facile percorso in solitudine nascono dei capolavori di cui vengono a conoscenza i media e perfino il New York Time che la consacra come artista e simbolo di resilienza.

Di come il dolore si possa sconfiggere, o perlomeno attenuare, con la bellezza né è prova vivente questa ragazza, che ha trovato una nuova vita e nuovi affetti ai confini con il nostro Paese, nella Repubblica di San Marino. Consapevolezza, forza e fierezza si ritrovano anche nelle scelte coraggiose di attiviste, giornaliste, scrittrici, avvocatesse, docenti, donne medico/ ginecologhe, infermiere (molte di queste volontarie provenienti anche dal nostro paese) che- accanto a vittime e donne resilienti- si sono prodigate e si prodigano per salvare altre donne, bambini e popoli da violenza e oppressione. Da persone in fuga e accalcate in campi profughi o arrivate in Europa tra mille difficoltà, alle quali le associazioni come AMAD e le amministrazioni virtuose, tra le quali il Comune di Ancona, danno risposte attraverso programmi di protezione e grazie alla disponibilità e alla efficacia di una rete pubblico-privata costruita nel tempo.

Delle realtà drammatiche e spesso sconosciute al mondo occidentale nei loro risvolti, svariate sono state le voci e le testimonianze presenti alla rassegna di Ancona, che si è chiusa il 29 novembre con la conversazione con Rosangela Pesenti, già dirigente nazionale UDI- Unione Donne Italiane, docente, scrittrice, formatrice in merito alle questioni di genere.

Tra i contributi nei 5 incontri anche uno “maschile”, quello del giornalista Alfio Nicotra, fondatore della associazione UN PONTE PER, tra le prime ad adoperarsi per la pace, a partire dalla mobilitazione contro la guerra nella ex Jugoslavia e successivamente. Ha presenziato il 25 novembre, Giornata dedicata in tutto il mondo al contrasto alla Violenza sulle Donne, alla mostra fotografica di Nidaa Badwan, chiusa il 29 novembre.

INTERVISTA ALFIO NICOTRA