RaccontAncona: 1861-2021, 160 anni delle scuole di infanzia di Ancona
Ancona ricorda quest’anno i 160 anni dalla nascita degli asili d’infanzia nel proprio territorio.
Nel 1861, dopo un appello pubblico alle dame di buon cuore della città affinché si facessero carico della questione, e dopo la risposta positiva di moltissime di loro, per decreto del re Vittorio Emanuele II nacque la prima scuola d’infanzia di Ancona.
La scuola d’infanzia o asilo, è da sempre luogo caro agli abitanti di qualsiasi città. E’ il primo approccio con una comunità di simili e il primo contatto con le regole del vivere comune. Chi non ricorda il luogo o una immagine del periodo del proprio periodo alla “materna”?
In città, quest’anno ricorre il 160 anniversario della fondazione della scuola d’infanzia dorica. A ridosso dell’Unità d’Italia, l’Ancona più ricca e agiata sente la necessità di venire incontro alle esigenze della popolazione…con un istinto filantropico che già nei decenni precedenti si era manifestato in città, si scopre la necessità di dare agli “italiani tutti” una istruzione. Come diceva Massimo D’Azeglio “L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani”a testimonianza che occorreva creare uno spirito unitario tra i territori del Bel Paese ma anche tra le varie fasce della popolazione.
Questa bellissima storia fu raccontata nel 1961 nell’allora giornale del Comune di Ancona da Ermete Grifoni.
Nel gennaio del 1861 sorse il primo Asilo Infantile di Ancona, quello situato nel popolare rione di Capodimonte in alcuni locali dell’orfanotrofio. L’angusto locale non poteva accogliere più di 120 bambini; un anno dopo sorgeva un altro asilo al porto per 70 bambini su una area concessa gratuitamente dal Municipio e situata alla base delle rupi comunali. Questo spazio però era insufficiente ad accogliere i tanti bambini dei lavoratori portuali, dei marinai, dei pescatori che abitavano in questa zona. Anni dopo nel Novecento l’asilo si trasferì in un ampio fabbricato situato nella stessa via del Porto e da allora fu chiamato Regina Elena. Nel 1882 un altro asilo viene aperto nel quartiere degli Archi intitolato alla Regina Margherita. Si aggiunse un altro asilo riservato ai bimbi israeliti, raggiungendo così la cifra di quattro asili operativi nel centro abitato di Ancona dei quali tre sorti nei primi 5 anni seguenti l’Unità d’Italia.
Un appuntamento importante per una città che ha fatto sempre propria la massima attenzione nei confronti dell’educazione dei più piccoli, sin dalla prima infanzia; un’attenzione pedagogica ma anche umana e sociale così come era nella tradizione già antecedente l’Unità d’Italia e manifestata da tanti anconetani d’ispirazione nobile e liberale. Come per esempio il conte Girolamo Orsi, patriota e filantropo, uno dei fondatori della nobile istituzione quando Ancona fu congiunta all’Italia. Orsi mise in piedi una vera e propria opera umanitaria proseguendo una attività già avviata da Carlo Faiani con le sue scuole notturne, grazie anche alla benevolenza di Pio IX.
Il conte Andrea Malacari nel 1841 morendo aveva disposto che fosse destinata una somma di 200 scudi per l’impianto e di 100 scudi annui per il mantenimento, per una sala di educazione per l’infanzia da istituirsi nella parrocchia di San Giacomo sulle orme di quelle già erette in Milano e Firenze. L’istituzione però era crollata dopo la caduta della Repubblica Romana e dell’asilo d’infanzia se ne parlo soltanto dopo l’Unità d’Italia quando cioè giungeva ad Ancona Lorenzo Valerio preceduto dalla fama di uomo tutt’altro che insensibile ai problemi della cultura popolare.
Infatti, Lorenzo Valerio nel 15 ottobre del 1860 aveva fatto stampare una lettera manifesto “alle gentili donne anconetane” per esortarle a promuovere la fondazione di asili infantili di Ancona. Un appello per la realizzazione di questa opera umanitaria che fu ampiamente ricevuto dalla popolazione femminile tant’è che nel gennaio 1861 sorse la prima scuola d’infanzia. Nel maggio del 1861 veniva poi emanato uno statuto organico con il quale erano regolate le accettazioni dei bambini. Si era stabilito che negli asili fossero ammessi i bambini di ambo i sessi, dai 3 ai 7 anni, che non potevano essere custoditi o educati dalle loro famiglie. I piccoli, oltre alla custodia e l’educazione, ricevevano anche una minestra e una sopravveste uguale per tutti. Potevano anche essere ammessi agli asili anche bambini provenienti da famiglia abbienti ma dietro pagamento di una retta mensile e purché si uniformassero alla comune disciplina in modo che non risultasse alcuna distinzione o preferenza fra gli alunni.
E questa era una nota ben precisa di uguaglianza disposta a chiare lettere all’interno dello Statuto.
La società degli asili dorica era allora costituita da azionisti contribuenti con una o più delle totali 600 azioni. La società era quindi autonoma e il Municipio era il solo ente che concorresse come socio con 200 azioni. Tra i primi benefattori degli asili c’erano Natale Baccarini, Giovanni Pigozzi, Stella Ascoli, Giuseppe Baldassarri, David di Meyer Almagià, Lorenzo Valerio che morì nel 1865 e lasciò agli asili d’infanzia della città 200 lire di rendita.
A dirigere gli asili di Ancona venne chiamata da Milano Virginia Torriani.
A lei fu affidata la parte pedagogica, la redazione dei programmi di insegnamento, l’orario di esercizio quotidiano e la sorveglianza delle maestre.
Scriveva lo stesso Orsi che il metodo distruzione civile e religiosa adottato dal primo asilo era quello che praticamente dettava Ferrante Aporti. Aporti allora dominava il campo pedagogico degli asili, con l’ intenzione di educare, istruire per migliorare la mente, il corpo, il cuore dei bambini.
Per essere degli asili erano abbastanza impegnativi per i piccoli perché nei programmi dell’Aporti erano previsti passaggi didattici abbastanza importanti.
Per esempio l’insegnamento era in ragione di capacità e di mente non già di età e di sesso, e pertanto gli alunni erano divisi in tre classi: nella prima classe c’erano semplici esercizi di pronuncia come il proprio nome, parti del corpo,cognizione delle vocali combinazione in sillabi e piccoli esercizi di memoria.
Nella seconda classe invece si andava già ad uno studio dei vocaboli più approfondito: s’iniziava per esempio con alcuni elementi di scrittura, numerazione con il pallottoliere, nozioni sulle cifre numeriche, esercitazioni ancora della memoria anche su novelle.
Ma la terza classe era il completo svolgimento del leggere e dello scrivere, del calcolo e spiegazione dei fenomeni della natura oltre a esercitazioni di ragionamento.
È quasi impossibile fare un paragone con i metodi odierni di educazione pedagogica nelle strutture dell’infanzia poiché il metodo aportiano escludeva gioco o autonomia e libertà del tempo all’interno dell’ambito scolastico.
Ma tutto questo, come nota anche l’articolista Ermete Grifoni, è giustificato da quella che era l’impostazione storica dell’epoca dove praticamente a ridosso dell’Unità d’Italia l’asilo d’infanzia non veniva considerato come un istituto prescolastico ma addirittura come una scuola vera e propria, già sufficiente per far apprendere ai piccoli il ciclo completo del leggere e dello scrivere. Ciò poiché l’asilo era frequentato da figli di operai e artigiani; questi venivano inviati dalle famiglie negli asili per essere custoditi ma anche per apprendere. Anche perché poi da 7-8 anni venivano impegnati precocemente nel lavoro delle botteghe di famiglia.
L’economia di Ancona, nella seconda metà dell’Ottocento, era in preminenza artigiana e secondo quanto riferisce l’Orsi risulta che per la maggior parte i bimbi ospitati nel primo asilo di Capodimonte erano figli di calzolai e falegnami e quelli dell’asilo del Porto figli di marinai ed i pescatori.
La positiva esperienza degli asili di Ancona fece poi sorgere successivamente la cosiddetta “scuola di completamento”.
I ragazzi di 7 anni, che avevano già compiuto il percorso degli asili d’infanzia, si ritrovavano ad essere impiegati nelle botteghe di famiglia; per fornire loro un ulteriore approfondimento della propria educazione fu creata la scuola di completamento che prevedeva altri 2 anni e massimo fino ai 10.
Era insomma una scuola di preparazione al mestiere, riservata solo ai maschi perché si riteneva che le femmine avessero più tempo di progredire nella loro educazione nelle scuole elementari.
La prima scuola di completamento aveva 14 ragazzi che si esercitavano con un maestro in piccoli lavori manuali: legno, cartone, ferro; con l’andar del tempo e con la normalizzazione dell’obbligo scolastico la scuola di progresso,come venne poi definita, perse la sua ragione d’essere, anche perché fu sostituita successivamente dalle scuole elementari.
Infatti quanto più la scuola elementare prese campo quanto più l’asilo di infanzia perse la sua connotazione istruttiva scolastica: l’asilo lentamente tornò alla sua naturale funzione d’istituto prescolastico e perse quella rigidezza nozionistica e tutto il bagaglio di nozioni che fino ad allora utilizzato.
La rivista del Comune di Ancona nel 1961 dedica un articolo al centenario delle scuole di infanzia doriche fornendo una fotografia precisa di quale fosse la situazione nella città.
Il primo asilo del 1861 intitolato al Valerio, dopo la prima guerra mondiale portò il nome di Giuseppe Garibaldi e raccoglieva Capodimonte 120 bambini tolti dalla strada.
Nel 1961 erano presenti ad Ancona 31 asili d’infanzia con 1430 bambini; dai primi metodi pedagogici ispirati all’Aporti, nel 1961 si applica una pedagogia mista con i criteri propugnati dalle sorelle Agazzi e dalla Montessori.
Anche 50 anni fa, era il Comune a contribuire in maggior parte al mantenimento in vita dell’istituzione. Nel 1961 il Comune aveva stanziato la cifra di 19 milioni di lire. A fianco a questi c’erano gli asili retti dai comitati locali (privati o religiosi) che usufruivano anche di contributo mensile del Comune pari a 400 mila lire.
E che l’attenzione per i servizi educativi da parte del Comune di Ancona abbia storia lunga è testimoniata dal fatto che si era passati dall’investimento annuale di 7 milioni e seicentomila lire del 1956 agli 11.500.000 del ‘57, ai 14 milioni e 310 mila lire del ‘58 ai 16 milioni e quattrocentomila a lire del ‘59 ai 18 milioni e 840 mila lire del ‘60.
Cifre che naturalmente non comprendevano gli stanziamenti per la costruzione e manutenzione degli edifici, molti dei quali sono stati costruiti proprio in quel periodo alla Palombella, Poggio e Casine di Paterno.
Nel territorio comunale oggi, 2021, le scuole di infanzia sono 29 con un totale di 1.929 bambini suddivisi in 89 sezioni.