La scomparsa di Giulio Giorello, ricordo del prof. Giancarlo Galeazzi

 

di Giancarlo Galeazzi *

 Sarebbe dovuto venire lunedì 24 febbraio per inaugurare al Teatro Sperimentale l’edizione 2020 de ”Le parole della filosofia”, la fortunata rassegna che progetto e coordino da 24 anni, ma la cosa non fu possibile, in quanto il treno con cui Giulio Giorello doveva venire ad Ancona fu bloccato a Milano per il “coronavirus”. Ci sentimmo per telefono, ed era molto dispiaciuto del contrattempo: ci teneva a essere presente tanto da concordare una nuova data, quella di mercoledì 29 aprile (ma l’appuntamento non sarebbe stato confermato per le misure sanitarie in atto). Alle “Parole della filosofia”, aveva già partecipato più volte e con successo su temi di epistemologia (“cosmologia” e “ricerca”) o di costume (“tradimento”), come peraltro ad altre iniziative, cui lo avevo invitato: così ai “Seminari di filosofia della scienza” per i dottorandi che curavo per l’Università Politecnica delle Marche, così alla rassegna “Le ragioni della parola” che, nell’edizione tenuta nell’ambito del festival “Adriatico Mediterraneo”, lo vide relatore sul tema “Conoscenza e solidarietà per una pacifica convivenza tra le culture” che sintetizza efficacemente il senso del suo impegno cui Giorello si dedicò non senza una inclinazione all’ironia. A questa riservo il suo ultimo libro (La danza della parola), presentandola come “arma civile per combattere schemi e dogmatismi”; proprio “ironia” era il tema che gli avevo affidato per la 24^ edizione delle “Parole della filosofia”, dedicate quest’anno a “stili di civiltà”. Questo libro rappresenta, almeno  per certi aspetti, il suo testamento intellettuale e ne fotografa i molteplici interessi.

Su questo suo multiforme ingegno è importante insistere se si vuole comprendere la specificità di Giorello. E basterebbe la semplice elencazione delle sue pubblicazioni per averne la riprova, tanto che vorrei definirlo “interprete di un nuovo umanesimo”, in quanto in lui le cosiddette “due culture” -scientifica e letteraria- avevano trovato la loro conciliazione; anzi la conciliazione avveniva tra molteplici culture, perché in lui si aggiungevano la cultura mediatica e sociale, la cultura dei fumetti e dei miti. Con ciò Giorello corroborava una mia convinzione, vale a dire che l’umanesimo non è da identificare con un contenuto culturale, quello classico, ma dipende dal tipo di approccio che con un contenuto s’instaura. per cui ciò che conta è coltivare in sé e negli altri l’umanità non solo come codice biologico ma come paradigma assiologico. Questo esercizio di umanità lo portava a una impostazione dialogica e non ideologica: così il propugnatore della laicità era contrario al laicismo, il difensore della scienza si opponeva allo scientismo, il difensore della libertà aveva il senso del limite, il sostenitore dell’ateismo aveva da imparare da un cardinale. Affabile conversatore, aveva la capacità di intervenire sui più disparati argomenti, mai però con la supponenza del “tuttologo”, bensì con la vivacità e la vitalità del “curioso”:  ancora un atteggiamento tipico di quell’umanesimo che trovò nel Rinascimento una espressione emblematica, e che Giorello ha saputo rinnovare per il nostro tempo coniugando insieme conoscenza e solidarietà.

*presidente onorario della Società Filosofica Italiana di Ancona